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Ricavare iodio dal pesce? Impossibile nella pratica e non auspicabile per la salute.

04 Aprile 2023
Tempo di lettura: 6 minuti

saliera

La fonte di iodio raccomandata a tutta la popolazione dal Ministero della Salute non è il pesce, ma il sale iodato, che è semplice sale con l'aggiunta di iodio ed è obbligatoriamente in vendita in tutti i negozi che vendono sale.

I fabbisogni giornalieri di iodio sono:

In Italia molte persone soffrono di carenza di iodio e anche per gli onnivori non è possibile coprire il fabbisogno con il consumo di pesce, perché occorrerebbe consumarne almeno 150-300 g al giorno (a seconda del tipo di pesce) e questo non sarebbe compatibile con una dieta sana (specie per i bambini) né con una dieta sostenibile dal punto di vista ambientale, senza contare l'enorme esborso economico che comporterebbe.

Sarebbe anche estremamente scomodo: occorrerebbe sapere quanto iodio contiene il pesce comprato, dato molto variabile.

Per tutti questi motivi, la raccomandazione ufficiale consiglia il consumo di sale iodato e non di pesce. La dose per l'adulto, 150 mcg, si può ricavare da 5 grammi di sale iodato (un cucchiaino).

Perché consumare pesce non è compatibile con una dieta sana?

La carne degli animali marini contiene una rilevante percentuale di grassi saturi (15%-30%), vale a dire quelli dannosi, e colesterolo.

Inoltre gli inquinanti presenti nelle acque (o le sostanze chimiche usate negli allevamenti di pesci) si concentrano nei tessuti dei pesci, in particolare nel grasso, per il principio del bioaccumulo. Si tratta di metil-mercurio, ma anche PCB, metalli pesanti, microplastiche e altre sostanze dannose.

Tali inquinanti sono definiti "contaminanti organici persistenti e bioaccumulativi (POPs)" poiché persistono nell'ambiente per molti decenni e si accumulano negli organismi animali, uomo incluso. Il pesce rappresenta una delle principali fonti di assunzione per l'uomo di tali composti pericolosi.

Il nostro organismo non ha alcun sistema per eliminarli e non è dunque in grado di contrastare le loro numerose influenze negative, che si esplicitano come aumentato rischio di patologie croniche, come malattie cardio-circolatorie, neoplasie, diabete mellito di tipo 2, in aggiunta ad alterazioni immunitarie e allergie.

Col pesce di allevamento le cose non vanno meglio, perché, come in tutti gli allevamenti intensivi, sono utilizzate molte sostanze chimiche e farmaci.

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Perché consumare pesce non è sostenibile?

Oltre all'aspetto della salute, c'è il grosso problema dell'impatto ambientale e della distruzione degli habitat, sia con la pesca in mare che con gli allevamenti di pesce.

La pesca ha già distrutto gran parte degli habitat marini: la quantità del pescato è in declino dalla fine degli anni '80 e il numero di zone di pesca al collasso è cresciuto esponenzialmente dal 1950 ad oggi.

Gli allevamenti di pesci peggiorano la situazione, perché inquinano e distruggono gli habitat acquatici, diffondendo nelle acque azoto, fosforo, antibiotici, farmaci e altre sostanze chimiche e trasferiscono parassiti e malattie dai pesci d'allevamento a quelli selvatici.

È un problema veramente enorme, che rende quindi impossibile nella pratica un aumento del consumo di pesce tale da soddisfare i fabbisogni di iodio. È invece urgente una drastica diminuzione, per difendere gli ecosistemi marini e in definitiva tutto il pianeta.

E per chi non consuma sale?

Se si intende consumare poco sale, sopperire alla quota mancante giornaliera di iodio attraverso il consumo di pesce rimane irrealizzabile, perché il consumo dovrebbe essere in ogni caso elevato e quotidiano, quindi si ricade negli stessi problemi fino a qui spiegati. Un consumo di 1-2 volte per settimana non ha praticamente alcun effetto sul soddisfacimento dei fabbisogni, ma avrebbe sempre effetti deleteri sulla salute e sull'ambiente.

La fonte primaria di iodio, a parte il sale iodato, sono le alghe (infatti lo iodio che si trova nelle carni dei pesci proviene sempre dalle alghe), quindi esse ne sarebbero la fonte per eccellenza. Il problema è che il loro contenuto è variabile, non solo tra un tipo di alga e l'altra, ma anche tra un lotto e l'altro, perché dipende da dove sono prelevate, e quindi si rischia di assumere troppo iodio, o troppo poco.

Per questa ragione, chi non può o non vuole consumare sale, qualsiasi sia la sua dieta, deve ricorrere ad alghe specifiche, con un contenuto di iodio "titolato", cioè misurato e sempre costante. Si tratta soprattutto dell'alga Kelp, che è venduta in compresse come integratore, ma non è altro che alga secca sbriciolata.

Non bisogna aver timore del concetto di "integratore", pensando che sia non "naturale" o simile a un farmaco: è molto più naturale consumare alghe seccate (anche se vendute in compresse in una boccetta) che devastare i mari con la pesca o inquinare l'ambiente con l'acquacoltura.

Per l'alga Kelp è molto semplice: una compressa (che si può anche spezzare e sbriciolare) contiene 150 mcg di iodio, cioè il fabbisogno di un adulto (alcuni integratori ne contengono 200, ma va bene lo stesso).

Anche come costo, le alghe sono una scelta vincente, rispetto al pesce: una compressa di alga Kelp costa 8-9 centesimi, mentre 2-3 etti di pesce per coprire il fabbisogno costano almeno 25-50 volte tanto.

In definitiva, usare il sale o l'alga Kelp è una scelta salutare, sostenibile ed economica. E l'unica possibile nella pratica.

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